La narrazione estetica di Alberto Venegoni è la manifestazione del suo amore per la natura e della fascinazione che il mondo vegetale esercita sul suo pensiero, sulla sua arte, sul suo lavoro, sul suo stesso vivere.
Ed è proprio il binomio arte – ecologia la chiave di lettura per l’ interpretazione del suo operato che reinventa tronchi d’alberi e radici disseccate in sculture affascinanti ed eloquenti in cui rivive – novella metempsicosi – l’anima vegetale.
Venegoni ha ‘la foresta nell’anima’ e ne estrinseca il lessico come se ascoltasse i messaggi chimici e nutrienti che le piante si scambiano in una fitta rete che qualcuno ha definito world wide web (internet delle piante) e ce lo trasmette.
La sua urgenza espressiva gli fa utilizzare l’oro in foglia per le cavità dei tronchi o per le radici più stilizzate per comunicare i sentimenti più puri, più preziosi, da vivere, conservare e tramandare – l’oro è simbolo di eternità –.
E poi la luce, simbolo di spiritualità, che riflettendosi sull’oro, compie la sua magia regalando, nell’incanto dell’immagine, visioni e significati di volta in volta diversi per accompagnarci, scultura dopo scultura, in un itinerario di grande originalità e insolita eloquenza che ha anche il valore di una riflessione sul futuro del ‘pianeta vegetale’.
«Quale artista non vorrebbe abitare là dove l’organo centrale del tempo e dello spazio – non importa se si chiami cervello o cuore – determina tutte le funzioni? Nel grembo della natura, nel fondo primitivo della creazione, dove è riposta la chiave segreta del tutto?»1 A porsi questi interrogativi, nel 1923, è il pittore elvetico Paul Klee tentando una risposta raccolta nella Teoria della forma e della figurazione, una pubblicazione postuma di riflessioni che in Italia arriva solo nel 1959, ma che influenzerà non poco le ricerche degli artisti della giovane generazione. Più oltre Klee scrive: «Dalle radici affluisce nell’artista la linfa, che attraversa lui e i suoi occhi. In tal modo egli adempie alle funzioni del tronco.
Premuto e commosso dalla potenza del flusso della linfa, egli lo dirige nell’opera secondo lasua visione».
Che la natura sia un tema indagato dagli artisti non è certo una novità, ma che divenga la linfa stessa della creatività non è sempre così scontato.
Ad affrontare le enunciazioni teoriche di Klee sono stati per lo più gli scultori che hanno un rapporto tattile con la materia, come Arturo Martini che nel suo libricino Scultura lingua morta nel 1945, scrive: «Lo scultore è come un albero: le foglie sono la sua sensibilità».
Mentre Leoncillo affronta l’albero già nei suoi disegni giovanili degli anni trenta, sognando Van Gogh, e dopo un iniziale pellegrinaggio tra espressionismo e realismo, anche con la scultura indaga la natura, annunciandolo pubblicamente nel 1957 - dopo la rottura con il PCI e l’abbandono delle istanze postcubiste - come l’idea di natura non può più essere quella rappresentativa: «non una realtà descritta e ricondotta a stile, ma forma colore materia a dare direttamente l’emozione, il sentimento della natura, a “volerla imitare” per essere un’altra natura».3 Annoterà poi nel Piccolo diario qualche anno più tardi, una più esplicita confessione: «Perché faccio un albero? Perché sono io un albero.
E allora tanto vale l’essere io un albero».
Una dichiarazione che, posta in relazione con le sue sculture ceramiche, in particolare le Affinità patetiche, titolo che non a caso echeggia le Affinità elettive di Goethe, trova un immediato riscontro nell’attenzione che questo artista riserva all’immagine di sé, come quella di un albero ferito, talvolta svuotato dall’interno, metafora di come le relazioni tra uomo e natura colpissero l’animo sensibile e fragile, influenzando l’esistenza tormentata dell’artista spoletino.
Tuttavia forse, chi meglio interpreta natura e uomo in una identificazione con il proprio lavoro è Giuseppe Penone; l’albero non è soltanto l’iconografia identificatrice della sua ricerca, ma il modello contenischematico della sua esistenza, come si evince da queste dichiarazioni del 1968: «La mutazione, il processo di crescita dell’albero è l’esperienza dell’opera d’arte. L’albero, perso e consumato ogni significato emozionale, formale e culturale, appare un elemento vitale in espansione, in proliferazione e accrescimento continuo. Alla sua “forza” ha aderito un’altra, la mia».
L’albero come organismo vitale capace di generare forme nello spazio diventa elemento scultoreo per eccellenza, forse l’esempio unico e primo di scultura della natura con cui l’artista non può non identificarsi, in quanto linfa vitale del proprio corpo che attraverso l’atto creativo si ramifica dando inizio all’arte e alla sua espansione spaziale.
E se un artista come Carlo Dell’Amico persegue da qualche anno una ricerca alchemica sulle radici e sui tronchi degli alberi, sottoponendoli a un processo di mutazione materica e cromatica, tra artificio e natura, con effetti talvolta dall’esito sorprendente, l’artista che ha raggiungo una simbiosi stretta con la dimensione naturare, e in particolare con le foreste di alberi, è Andrea Mori.
Per questo giovane artista, che manifesta la propria arte vivendo e camminando immerso nei boschi, gli alberi sono i grandi saggi del mondo, testimoni della storia, grande o piccola che sia, detentori di saperi e per questo mete di un viaggio reale, tappe di essenziali relazioni esistenziali finalizzate a cogliere in pieno l’essenza di queste antenne del mondo, con le quali l’artista instaura una rapporto tra esseri viventi, protettiva e affettiva, che si riversa in una narrazione letteraria più che scultorea, trascritta all’interno di densi taccuini che fungono da raccoglitori finali dell’ esperienza vissuta.
Era necessario questo excursus preliminare, che anticipasse e contestualizzasse lo stato dell’arte attorno alle situazioni artistiche recenti che hanno declinato il rapporto arte e natura.
Un percorso che aiuta anche a collocare l’indagine del giovane Alberto Venegoni, che dovrà necessariamente confrontarsi con chi lo ha preceduto, almeno in questi ultimi decenni, per centrare al meglio una ricerca in itinere, che tuttavia si mostra già convintamente avviata lungo un percorso di levigazione plastica, dove spicca la dimensione più propriamente spirituale.
Il lavoro di Venegoni, agronomo di formazione e amante della classicità greca, si origina attraverso l’appropriazione di elementi naturali, prevalentemente fusti di alberi e tronchi, che tuttavia egli decostruisce totalmente, svuotando l’interno e riplasmando la forma in una nuova organicità plastica.
È un atto di continua modellazione del legno, ripulito da ogni naturale impurità, esaltato in ogni dettaglio, levigato e curato, plasmato in armoniche forme e infine ricondotto all’essenza più vera della materia.
Una materia in movimento, il legno, vivo e vitale che Venegoni indaga nelle sue più intime profondità senza identificarsi con esso, ma semmai impiegandolo come strumento di conoscenza di un altrove che conduce anche al miglioramento di sé.
Il legno, materia povera e necessaria, adottata già in passato in modalità diverse da artisti come Alberto Burri, Mario Ceroli e Richard Nonas, ma che per Venegoni diventa simbolo di un universo inesplorato e sorprendete, che si cela tra i nodi legnosi e i cerchi temporali dei tronchi, testimoni di epoche naturalmente incise al proprio interno e che sembrano suggerire all’uomo come l’esperienza sia la base della conoscenza e pertanto costitutiva del proprio fondamento interiore.
D’altra parte l’aforisma citato nella biografia dell’artista è kalòs kai agatòs tradotto dal greco “in bello e buono”, come l’albero che si staglia imperioso nel mondo, rassicurando più che spaventando gli esseri che si ritrovano al suo cospetto. Un insegnamento, non una morale, che viene dalla natura e che l’artista valorizza lasciando affiorare, dalla superficie di queste sue opere, le nervature del legno che fungono da decoro involontario e che l’artista esalta anche nelle recenti produzioni sferiche in cui attraverso colori accesi esalta i naturali anelli di accrescimento del fusto.
Un universo dunque, che egli scopre passo dopo passo, come un cammino iniziatico che inizia con la selezione del pezzo e prosegue denudando la materia della propria corteccia, eliminando gli strati ormai defunti per giungere all’anima stessa dell’albero, rispettando l’organicità esterna del tronco e allo stesso tempo ricercando uno spazio interno dell’opera. Uno spazio profondo, quello che Venegoni va indagando, vero in quanto inesplorato pertanto oscuro nelle profondità interiori della materia nelle quali l’artista si insinua rincorrendo l’immagine ultima della sua opera.
Su questa visione egli esercita la propria azione, che è una vera e propria trasmutazione formale e sostanziale della materia, che trova compimento con l’inserimento dell’elemento alchemico per eccellenza, la rivelazione dell’avvenuta trasmutazione dal piombo all’oro, segnando il cammino metaforico di una rinascita che dall’oscurità conduce alla luce della sapienza. Su questo punto la ricerca di Venegoni si fa simile a quella di un altro artista alchimista, anch’egli innamorato della Grecia come Sandro Bertolacci, il quale si affida al legno per costruire moduli cilindrici concepiti per lo più a gruppi di tre, scavati e all’interno dipinti di nero quasi a voler ripensare la funzione di un tronco che si fa contenitore.
All’interno di ogni cilindro sono inchiodate lamine di acciaio poste in sequenza lineare e colorate con tonalità diverse che cambiano da cilindro a cilindro.
A ogni colore è affidata una funzione cosmetica di rimando materico, tendenzialmente il blu per l’aria o l’acqua, il giallo per l’ottone o la terra e l’arancione per il rame o il fuoco, alternati talvolta da elementi di alluminio argenteo.
Sculture lignee rigenerate dall’interno indagando i flussi di materie nobili che per quelle vie scorrono.
La scultura come contenitore di sostanze prime è condivisa anche nella ricerca di Venegoni, dove, tuttavia, l’essenza più nobile, l’oro, non si palesa come materia fluida in scorrimento, ma come elemento luminoso che irraggia l’interno della scultura, in una emanazione quasi solare dell’opera, punto focale dove le dualità si fondono e le resistenze svaniscono.
Al di là di ogni aspetto puramente esoterico, si annida in questa ricerca anche un significato dal richiamo sociale.
Un monito verso quell’umanità accecata dal proprio io che gli impedisce di comprendere l’essenza ultima di sé, irrispettosa del proprio spazio vitale e illogica nei comportamenti conflittuali con il mondo. In questo senso la scultura di Venegoni trasmette il superamento della dualità uomo – natura, portavoce di un necessario ripensamento di modelli vitali da orientare urgentemente verso un’armonica unità con il tutto, linfa necessaria per una nuova vitalità.
Alberto Venegoni nasce a Cuggiono (MI) nel 1989. E nasce col “pollice verde” perché sin da bambino ama la natura e le piante e le ‘architetture’ che queste compongono.
Passione che gli farà indirizzare gli studi verso il settore agrario e che lo porterà a diventare designer del verde o meglio “giardiniere” come ama definirsi.
Ma che lo condurrà anche verso la conoscenza di filosofie orientali nel desiderio di comprendere l’animo umano e le sue nuances che divengono personalizzazione dei colori nelle sue composizioni paesaggistiche.
In tutto questo emerge anche la sua dimensione di ‘archeologo’ della natura perché ama anche tronchi d’alberi e radici disseccate che divengono, da quando alcuni anni orsono ha scoperto la scultura, materia prima per le sue composizioni artistiche.
Vive e lavora a Busto Garolfo (MI).
Alberto Venegoni's aesthetic narrative displays his love for nature and the fascination that the plant world exerts on his thoughts,his art, his work, his very life. Precisely in the union of art and nature lies the key to interpreting his work, that reinvents tree trunks and dried roots to transform them into fascinating and eloquent sculptures, in which the plant soul lives again in a new metempsychosis.
Venegoni has 'the forest in his soul' and expresses its vocabulary as if he is listening to the chemical and nutrient messages that plants exchange in a dense network that has been called world wide web (internet of plants), to convey it to us.
The urge to express himself makes him use gold leaf for the cavities of the trunks and for the most stylised roots, in order to communicate the purest and most precious feelings, those that have to be lived, preserved and handed down: after all, gold is a symbol of eternity.
And then the light, a symbol of spi rituality, is reflected on the gold, working its magie and offering, in the charm of the image, visions and meanings that change at every turn, to guide us, sculpture after sculpture, on a journey characterised by great originality and unusual eloquence, which also acts as a reflection on the future of the 'green planet'.
"Which artist wouldn't like to live where the centrai organ of time and space whether you cali it 'heart' or 'brain' determines all functions? In the lap of nature, at the primitive bottom of creation, where the secret key to everything lies?" 1 The one who is asking these questions, in 1923, is the Swiss painter Paul Klee.
He tried to give an answer in Schriften zur Formund Gestaltungslehre [Writings on Form and Design Theoryl, a posthumous collection of reflections which was published in ltaly only in 1959 but would exert a strong influence on the research of the artists of the young generati on. Further on, Klee writes: ''From the roots, the sap flows into the artist and goes through him and his eyes. In this way, he fulfils the functions of the trunk.
Pressed and moved by the power of the sap flowing, he directs it into his work according to his vision".
lt is nothing new that artists investigate nature as a theme, but it is not always a foregone conclusion that nature becomes the very sap of creativity.
Most of the artists who dealt with Klee's theoretical statements were sculptors, those who have a tactile relationship with the materiai. As Arturo Martini writes in his booklet La scultura lingua morta [Sculpture as Dead Language] in 1945: "The sculptor is like a tree: the leaves are his sensitivity".
For his part, Leoncillo already approaches the tree in his youthful drawings from the 1930s, dreaming of Van Gogh, and after an initial pilgrimage between Expressionism and Realism he investigates nature with sculpture as well. In 1957, after breaking with the PCI [ltalian Communist Party] and abandoning the post-cubist requirements, he announced publicly that the idea of nature could no longer be representative: "Not a reality that is described and brought back to style, but form, colour and matter which directly give the emotion, the feeling of nature, and 'want to imitate' it to become another nature".
Some years later, in Piccolo diario [Little Journall, he would write a more explicit confession: "Why do I make a tree? Because I am a tree.
So I might as well be a tree". lf we relate this statement to his ceramic sculptures, especially Pathetic Affinities, which not by chance echoes Goethe's Elective Affinities, we immediately find confirmation in his attention to his self-image, which resembles an injured tree, sometimes emptied from the inside: a metaphor of how the relationships between man and nature affected the sensitive and fragile soul, influencing the tormented existence of the artist born in Spoleto.
However, perhaps the best interpretation of nature and man as identified with one's work can be found in Giuseppe Penone. The tree is not just the iconography that identifies his research, but the schematic model of his existence, as emphasised by these statements from 1968: "The mutati on, the growth process of the tree is the experience of the work of art.
Once all emotional, formai and cultura! meaning is lost and consumed, the tree seems to be a vital element that keeps expanding, forever proliferating and growing. To its 'strength', there is another one added: mine".
The tree as a vital organism capable of generating forms in space becomes the sculptural element par excellence, perhaps the first and only example of sculpture in nature with which the artist cannot help but identify, because it is the vital sap of his body that, by means of the creative act, branches out giving rise to art and to its spatial expansion. An artist like Carlo Dell'Amico has been pursuing alchemica! research on tree roots and trunks for some years, su bjecting them to a process of materiai and chromatic mutation, between artifice and nature, sometimes with surprising results.
But the one who has achieved a close symbiosis with the natural dimension, and in particular with tree forests, is Andrea Mori.
For this young artist, who expresses his art by living and walking in the woods, trees are the great sages of the world, witnesses of historical events, whether big or small, holders of knowledge and, as such, destinations of a real journey, stages of fundamental existential relationships aimed to fully grasp the essence of these antennas of the world. With them, the artist establishes a protective and affective relationship between living beings, which flows into a narrative that is literary rather than sculptural, transcribed in dense notebooks that serve as final folders of lived experience.
This introduction was necessary to anticipate and contextualise the state of the art concerning recent artistic situations which have tackled the relationship between art and nature. A path that also helps to appraise the investigation of the young Alberto Venegoni, who will necessarily have to deal with those who preceded him, at least in the last few decades, to best focus his research: a research which is stili ongoing but already seems to follow convincingly a path of plastic smoothing, where the spiritual dimension stands out. With a background in agronomy and a passion for Greek Classicism, Venegoni works by appropriating natural elements, mostly tree trunks, which nevertheless he completely deconstructs, empting the inside and reshaping the form into a new plastic organi city.
lt is an act of continuous modelling of the wood, cleaned from all natural impurities, refined in every detail, smoothed and cared for, shaped into harmonious forms and finally brought back to the truest essence of the materiai. Wood is a moving materiai, it is alive and vital, and Venegoni investigates its most intimate depths without identifying with it, but rather using it as a tool to understand an elsewhere which also leads to self-improvement.
Furthermore, wood is a humble and necessary materiai, already deployed in the past and in different ways by artists like Alberto Burri, Mario Cerali e Richard Nonas, but for Venegoni it becomes the symbol of an unexplored and surprising universe, hidden among the knots and rings of the trunks: witnesses of eras that nature has engraved within them, they seem to suggest that experience is the basis of knowledge and therefore the inner foundation of man.
On the other hand, the aphorism quoted in the artist's biography is kalòs kaf agathòs, from the Greek "beautiful and good", just like the tree that stands out majestically in the world, reassuring the creatures that stand before it rather than frightening them. A teaching, not a moral lesson, that comes from nature and that the artist enhances by letting the veins of wood emerge from the surface of his works to serve as involuntary decoration.
He emphasises them in his recent spherical works, too, where he highlights the natural rings of the trunks by using bright colours.
A universe, then, that he discovers step by step, like a path of initiation that starts by selecting the piece and continues by stripping the materiai of its bark, eliminating the long-dead layers to reach the very soul of the tree, respecting the outer organicity of the trunk while looking for an inner space within the work. Venegoni investigates a deep space, which is authentic because it is unexplored, therefore also dark in the inner depths of the materiai: it is here that the artist insinuates himself in order to pursue the ultimate image of his work.
He acts on this vision with a true formai and substantial transmutation of matter, which he fulfils by adding the alchemica! element par excellence, by showing the actual transmutation of lead into gold, thus marking the metaphorical path of a rebirth that leads from darkness to the light of wisdom.
In this respect, Venegoni's research is similar to that of another artist turned alchemist with the same passion for Greece: Sandro Bertolacci, who uses wood to build cylindrical modules conceived mostly in groups of three, that get hollowed out and then painted black on the inside, almost as if he wants to rethink the function of a trunk that becomes a container. There are steel plates nailed to the inside of each cylinder, organised in a linear sequence and painted with different colours that change from one cylinder to the other. Each colour has a cosmetic function that refers to a materiai, generally blue for air or water, yeliow for brass or earth and orange for copper or fire, sometimes interspersed with silvery aluminium elements.
They are wooden sculptures regenerated from within by investigating the flows of noble materials that pass through them. Sculpture as a container of raw materials is an idea shared by Venegoni as weli, but in his research the noblest substance of ali, gold, does not manifest itself as a fluid materiai that flows freely but as a light element that irradiates the interior of a sculpture, almost like a sun emanation of the work , the foca! point where dualities merge and ali resistance vanishes. Beyond any merely esoteric importance.
A warning to that part of humanity blinded by its own ego, which stops it from understanding its ultimate essence, disrespectful of its own vita! space and irrational in its conflictual behaviours with the world. In this sense, Venegoni's sculpture transcends the duality between man and nature and heralds a much-needed rethinking of life patterns that urgently have to be oriented towards a harmonious unity with the whole, the necessary sap for a new !ife.
Alberto Venegoni was born in Cuggiono, not far from Milan, Italy, in 1989. And he was born with a “green thumb”, because he has loved nature and plants since he was a child.
This passion made him undertake studies in the agricultural field, thus orienting his professional choice and leading him to open his own business in the gardening industry.
Thanks to his life choice, he can merge his two great interests in his job: art and the study of Eastern philosophies.
In the union of these elements lies the origin of his activity as sculptor.
He lives and works in Busto Garolfo, near Milan.